mercoledì 7 marzo 2018

Calenda sbarca al Nazareno...ma la barcaPD fa già acqua...non è più uno yacht !


(Giorgio Gandola per la Verità) – 
Hasta la victoria siempre. Ex manager di Ferrari, Sky e Confindustria; primi passi in politica a fianco di Luca di Montezemolo e secondi passi con la borsa di Mario Monti in mano; viceministro di Enrico Letta; già supino rappresentante dell’ Italia a Bruxelles; nipote di un diplomatico; figlio di una regista di cinema (Cristina Comencini) e di un economista ex banchiere. Il nuovo uomo del popolo è Carlo Calenda.
Poiché il Pd è messo peggio dei lavoratori della Embraco, con i quali ieri ha partecipato all’ assemblea, scende in campo lui a salvare la sinistra dalla delocalizzazione su Marte e a sorpresa lancia la sfida congressuale a Matteo Renzi dopo averlo visto sbroccare contro Paolo Gentiloni e Sergio Mattarella nella conferenza stampa della sconfitta.
Per contenere il programma gli basta un tweet: «Non bisogna fare un altro partito, ma lavorare per risollevare quello che c’ è. Domani mi vado a iscrivere al @Pdnetwork». Immediatamente i colonnelli del partito collassato il 4 marzo gli tendono le braccia come bambini sperduti. Arriva il grazie del presidente del Consiglio, seguito da quello del vicesegretario Maurizio Martina («La scelta giusta»), dall’ entusiasmo del portavoce Matteo Richetti («Preparo il comitato d’ accoglienza, si riparte alla grande»), dall’ applauso di Claudio De Vincenti («Bravo, abbiamo bisogno di persone come te»)...

E l’ umanità dolente che guarda il mondo dal 18% ha un sussulto, sembra rianimarsi come al gol del Benevento sul 4-0 per la Juventus. Scodinzolano tutti, anche Anna Finocchiaro, ed è facile immaginare il furore sordo di Renzi, che si è congratulato di prammatica, nel constatare che i beneficiati di un tempo sono già oltre, sbilanciati verso il congresso con il coltello in tasca e le sue scapole nel mirino.
Calenda si accorge del successo, così inatteso quanto immediato, e dà sostanza alle sue intenzioni, ci mette sopra la panna della politica. Prima ammonisce il segretario e ribadisce il no a Luigi Di Maio: «Condivido in pieno la linea sul no al governo con i 5 stelle, non commento il percorso congressuale e il timing delle dimissioni (di Renzi,ndr) perché non iscritto al Pd, trovo fuori dal mondo l’ idea che la responsabilità della sconfitta sia di Gentiloni, Mattarella e di una campagna troppo tecnica».
Poi dice la sua sul futuro, sulla ripartenza: «Abbiamo dato la sensazione di essere un partito delle élite (te lo dice uno che se ne intende). È successo in tutto l’ Occidente ai progressisti, ma è anche effetto del nostro modo di comunicare ottimistico/semplicistico. Tornare a capire le paure, non tentare di esorcizzarle. Multiculturalismo, globalizzazione, innovazione spaventano i cittadini. Dire che l’ unica paura è quella di avere paura significa perdere il contatto con loro e spingerli verso la fuga della realtà, al M5s. Il punto non è essere o non essere élite, ma rappresentare chi non lo è».
Mentre Richetti prepara il comitato d’ accoglienza e Debora Serracchiani coglie la palla al balzo per dimettersi dalla segreteria nazionale un minuto dopo essere stata eletta in Parlamento, si profila un congresso di fuoco. Renzi aveva progettato tutto: l’ uscita di scena con gli stracci che volano, il presidio dei corridoi per evitare defezioni in Parlamento, il ritorno come padre nobile in un congresso blindato dai suoi fedelissimi nel quale far eleggere Maria Elena Boschi, la continuità della Leopolda al femminile. La mossa di Calenda lo ha spiazzato. E l’ accoglienza da santo protettore riservata dal Pd a colui che tre mesi fa era stato sul punto di diventare il candidato premier di Silvio Berlusconi, lo ha disgustato.
Il ministro dello Sviluppo economico non gli è mai piaciuto. Poco allineato, dialetticamente abile, arrogante il giusto, più volte si era messo di traverso rispetto alla paradisiaca narrazione renziana. «Non siamo rottamatori ma costruttori», «Il governo sbaglia la comunicazione, se lo dite a Renzi e al gruppo dirigente del Pd gli fate una cortesia», «I bonus per i lavoratori sono scorciatoie inutili». Fino a quel «Renzi non è più renziano» che gli è valso una bordata contraerea: «Calenda? Lo consideravo un fighetto di Confindustria».
Con Calenda al vertice del Pd, a Renzi non resterebbe che andarsene a fondare il suo partito riformista. Ma nel Pd i problemi non sarebbero risolti perché quello che nell’ ambiente della politica viene definito lo Steve Jobs dei Parioli (un certo genio, l’ ossessione per i dettagli, qualche eccesso d’ ira) è europeista, liberal, incline alle larghe intese. Insomma, un suo clone, difficilmente spendibile per far tornare all’ ovile le masse in fuga.
Lo ha capito al volo Sergio Chiamparino, presidente della regione Piemonte, anche lui a Riva di Chieri per l’ assemblea della Embraco.
Parole di fuoco. «Calenda segretario? Non si tratta di fare un concorso di bellezza o di bravura». Sarebbe disponibile anche lui, con ben altri progetti: «Possiamo dialogare con il Movimento 5 stelle.
Io quasi quotidianamente dialogo con la sindaca Chiara Appendino, non c’ è nessun tabù da sfatare». La corsa alla successione è cominciata, i gomiti sono appuntiti. Maurizio Martina, con quell’ aria da chierichetto, vorrebbe vedere tutti amici: «Con la direzione di lunedì dobbiamo aprire il nostro percorso di rigenerazione».
A lui un partito Ogm andrebbe bene.---

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