sabato 6 gennaio 2018

L'Espresso/Marco Damilano - Maria Elena Boschi, il simbolo della fine del regno di Renzi

Maria Elena Boschi, il simbolo della fine del regno di Renzi

di Marco Damilano

E' diventata un capro espiatorio. Ma Matteo e i suoi in realtà devono ancora fare i conti con il fallimenti di un'intera strategia politica. A cui non hanno mai trovato l'alternativa.

L'ultima a lasciare il Quirinale è stata lei, dopo il tradizionale ricevimento offerto dal presidente della Repubblica alle «alte cariche dello Stato »: ministri, presidenti di commissioni parlamentari, vertici delle forze armate e degli apparati di sicurezza, alti magistrati. I dignitari intramontabili e i nuovi arrivati, come Luigi Di Maio, candidato premier del Movimento 5 Stelle, che si avvicina a Sergio Mattarella con aria deferente: «Ho molto apprezzato il suo discorso ... », mentre intorno scrutano il futuro incerto.«Sono già alla prossima puntata, mi butto su Di Battista ... », ride Salvo Nastasi, commis de l'état con governi di ogni colore. «Ho detto a Luigi: ricordati degli amici », scherza il presidente della commissione Difesa del Senato Nicola Laessere l'unico componente della «corrente di Marco» (si intende Minniti).
Maria Elena Boschi è rimasta a lungo nel salone delle feste, quando gli altri rappresentanti delle istituzioni se ne erano già andati, in questo che era il saluto di fine anno del capo dello Stato e anche di fine legislatura, «in un crocevia temporale, che induce al confronto tra il bilancio dell'anno trascorso e le prospettive dell'immediato futuro», ha detto il Capo dello Stato nel suo intervento...

In questo crocevia è finita la sottosegretaria, diventata protagonista della commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, che forse sarà studiata nei prossimi anni come caso di scuola, da manuale di suicidio politico. Voluta dal Pd e da Matteo Renzi per mettere sotto accusa gli organi di vigilanza Banca d'Italia e Consob, si è trasformata per un misto di arroganza e imperizia in un processo alla gestione del potere renziano. Quando l'ex amministratore di Unicredit Federico Ghizzoni davanti ai commissari ha confermato quanto scritto sette mesi fa da Ferruccio de Bortoli nel suo libro "Poteri forti (o quasi)"- raccontando i dettagli del suo incontro con la ministra Boschi che gli chiese di intervenire in Banca Etruria - è stato portato alla luce il groviglio poco armonioso di interessi, legami familiari, sovrapposizioni di ruoli riassunto nell'immagine del Giglio magico. Il Territorio, la sana provincia toscana per cui la Boschi si mosse, secondo quanto dichiarato da Ghizzoni, che nel momento della scalata al potere di Renzi e dei suoi era garanzia di autenticità e di estraneità alle logiche dei palazzi romani, si è capovolto in una maledizione.Dalle riforme mancate al caos Banca Etruria: ascesa e declino di Maria Elena BoschiNavigazione per la galleria fotografica1 di 14Slideshow
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L'irruzione di un gruppo dirigente improvvisato nei salotti buoni dell'establishment è finita in un nulla di fatto per quanto riguarda il tentativo della Boschi di salvare dal commissariamento la Banca Etruria, in quel momento vice-presieduta dal padre, e di Marco Carrai che tornò a sollecitare l'intervento di Unicredit con una mail, e in un rovescio politico per Renzi.
Se Paolo Gentiloni è stato il politico dell'anno 2017, dimostrando che una guida del governo impopulista, come l'ha definita Ilvo Diamanti, può raggiungere risultati più efficaci delle forzature quotidiane di un leader egotico e compulsivo, Maria Elena Boschi di questi dodici mesi è stata l'altra faccia della luna, la figura che ha trascinato l'intero Partito democratico nella sua vicenda familiare e territoriale. È in lei, più ancora che in Renzi, che si riassume tutta la parabola di questa legislatura: dalla straordinaria opportunità conquistata da un gruppo di giovani outsider di scalare i vertici dello Stato, occupare le istituzioni e la guida del governo, riformare la Costituzione e la legge elettorale, cambiare in profondità il rapporto tra i cittadini e lo Stato, senza incontrare resistenze, anzi, raccogliendo l'acclamazione di notabili, imprenditori, intellettuali, editorialisti, osservatori internazionali, fino al ribaltamento degli ultimi mesi, nei sondaggi riservati e nelle conversazioni di Palazzo. Il fattore B., non come Berlusconi ma come Boschi, che porta giù il consenso. Dalla favola all'incubo. Colpa del caso di Banca Etruria, riaperto con la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche nelle ultime settimane di legislatura.
Ma è il progetto politico del renzismo che dopo la sconfitta al referendum di un anno fa ha perso il suo orizzonte di riferimento, in una legislatura divisa in due parti. La prima è quella che va dal22 febbraio 2014, giorno in cui il governo Renzi giurò al Quirinale, al 4 dicembre 2016, la data del referendum perso e delle dimissioni del premier venuto da Rignano: i mille giorni del Jobs Act e degli 80 euro, del Pd al quaranta per cento delle elezioni europee, che Renzi vanta in ogni uscita pubblica, intervista, apparizione televisiva. La seconda parte è quella dell'ultimo anno, segnato dal governo Gentiloni, l'uomo che non c'era, come il protagonista di un film dei fratelli Coen, il presidente del Consiglio che nei piani del segretario del Pd doveva probabilmente durare poche settimane e riportare l'Italia al voto e che invece è arrivato alla fine del2017, «Un anno intenso», ha detto Mattarella, «che ha visto consolidarsi la crescita della economia, confermando la capacità del nostro sistema di uscire dalla grave e lunga crisi che abbiamo attraversato». Un'accentuazione maliziosa del ruolo di Gentiloni, che ha garantito «il rispetto del ritmo» fisiologico della democrazia, il voto alla scadenza naturale della legislatura. Tra il ritmo di marcia scandito dalla coppia Mattarella- Gentiloni, l'andamento lento, e quello indiavolato di Renzi, c'è il ruolo di Maria Elena Boschi, anello di congiunzione tra i due governi e tra i due premier, presente in una posizione di rilievo in entrambe le squadre. Gentiloni, in questo momento, è il premier in carica, sta per chiudere la legislatura senza un voto di sfiducia parlamentare, a lui guardano le cancellerie europee che provano a immaginare cosa ) succederà nei prossimi mesi, dopo il voto. E nessuno può escludere che il governo vada avanti anche all'inizio della prossima legislatura, nell'impossibilità di formare in tempi rapidi una nuova maggioranza.
Renzi, invece, è il premier dei mille giorni che rivela di soffrire per la perdita di consenso nei sondaggi. Provocata, ha spiegato in un'intervista al "Corriere della Sera" (18 dicembre) dal fatto che «dobbiamo sostenere la responsabilità del governo e passiamo il tempo a litigare all'interno»: «Era ovvio che per il Pd fosse meglio votare a giugno o al massimo a settembre. Chi allora sosteneva questa tesi è stato accusato di irresponsabilità, ma non votando si è fatto un clamoroso assist a Berlusconi e Grillo». Non esattamente in sintonia con le opinioni espresse su questo punto dall'inquilino del Quirinale e da Gentiloni. Che Renzi volesse andare a votare presto, prestissimo, non è mai stato un segreto, anche se è stato a lungo negato dai renziani. Che ora attribuisca il calo del gradimento al governo, alle divisioni interne, a tutti tranne che a responsabilità sue e del suo ristretto gruppo di amici è invece la dimostrazione che Renzi ha scelto una linea di scontro frontale nella prossima campagna elettorale: non contro il Movimento 5 Stelle o contro il centrodestra o la formazione dei fuoriusciti del Pd e della sinistra che si schiera con Pietro Grasso, ma contro i dissidenti interni, in aumento. Un renziano della prima ora, il portavoce del Pd Matteo Richetti, ha detto quello che pensa anche se con la forma dell'intervento rubato da qualche cellulare fantasma (cosi come, qualche mese fa, il ministro Graziano Delrio si era espresso tramite un fuorionda). Il malumore è in crescita e si è scaricato, secondo il meccanismo ben noto del capro espiatorio, sulla sottosegretaria Boschi.
Cinque anni fa la Boschi stava per compiere 32 anni (è nata il 24 gennaio 1981), era quasi sconosciuta al pubblico nazionale, si presentava come avvocato e responsabile dei comitati elettorali di Renzi per le primarie del 2012 per la candidatura a premier del centrosinistra in cui il sindaco di Firenze era stato sconfitto da Pier Luigi Bersani. Alla fine della legislatura ha quasi 37 anni, nel suo curriculum può vantare l'incarico di ministro delle Riforme nel governo Renzi e poi quello di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Gentiloni, un potere che in pochi politici hanno accumulato alla sua età nella storia repubblicana, quasi che lo spirito di Giulio Andreotti si sia reincarnato in una giovane donna che ha imparato tutte le astuzie e le malizie della politica, fino a buttare n in un'intervista al "Messaggero" un avvertimento («non cancello spesso gli sms, ne ho molti in memoria, anche con esponenti del mondo del credito e del giornalismo»), con la stessa apparente noncuranza con cui il Divo Giulio faceva sapere ai suoi avversari che in quei giorni stava consultando alcune vecchie carte conservate nel suo archivio. ei mille giorni di Renzi la Diva Maria Elena è stata il volto del governo, con il ruolo non formale ma effettivo di numero due della squadra che andava molto oltre le deleghe formali attribuite al suo ministero, come sanno tutti i suoi colleghi che hanno spesso sofferto il protagonismo della deputata di Laterina e lo sconfinamento in competenze non sue. Come ha fatto anche in occasione dei contatti ripetuti con il mondo finanziario e economico per la questione di Banca Etruria. Mai autorizzata dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, con cui ha sempre avuto un ottimo rapporto personale, e senza neppure informarlo dei suoi colloqui («ho appreso tutto dai giornali», ha dichiarato l'uomo di via XX Settembre alla commissione parlamentare), la Boschi ha incontrato tutti,  o quasi. Il presidente della Consob ~ Giuseppe Vegas, il vice-direttore  generale di Banca d'Italia Fabio  Panetta, il direttore generale di Veneto Banca Vincenzo Consoli, in visita alla casa della famiglia Boschi a Laterina.
Nel 2013, quando era ancora una semplice deputata, incontrò anche Samuele Sorata, direttore generale della Banca popolare di Vicenza di Gianni Zonin. E infine, l'amministratore delegato Ghizzoni che ha taciuto per mesi prima di rivelare quello che ormai era noto a tutti. Erano i gloriosi mille giorni del governo Renzi, in cui il potere dei giovani toscani che avevano rottamato la vecchia nomenclatura sembrava senza confini e senza limiti di tempo. Fino al2016, fino alla scelta di giocare tutta la sua leadership sul sì e sul no al referendum costituzionale, Renzi puntava a essere il punto di riferimento di uno schieramento trasversale. Il progetto ribattezzato partito della Nazione, in cui far confluire i moderati berlusconiani senza più casa politica e con il loro leader ai servizi sociali, escluso dal Parlamento e impossibilitato a candidarsi, con i suoi ex fedelissimi attratti dalla prospettiva di governo come falene d'estate, da Angelino Alfano a Denis Verdini, e l'area dell'an tipoli tic a che si era riconosciuta in Seppe Grillo nel 2013, sollecitata con il taglio delle indennità per i senatori, l'eliminazione delle province e dell'inutile e sconosciuto Cnel. A restare fuori, nei calcoli, doveva essere un pezzo di sinistra del Pd, da costringere alla scissione, come è avvenuto.
Il risultato, però, è fallimentare. Il centrodestra si è riorganizzato e l'incandidabile Berlusconi si atteggia a regista della prossima legislatura. Il Movimento 5 Stelle nei sondaggi è davanti al Pd come lista più votata e in ogni caso si è consolidato come partito, non è più solo uno stato d'animo, un vaffa collettivo. E la sinistra uscita dal Pd si è ricomposta sotto la parola d'ordine dell'anti- renzismo. Con questa sconfitta strategica- nulla a che vedere con fake news, colpi di Stato sull'inchiesta Consip, gigli magici, banche etrurie, un flop tutto politico - Renzi non ha mai fatto i conti e non ha mai elaborato un piano alternativo. Prendersela con Maria Elena Boschi per il caso Banca Etruria, come si è fatto in questi giorni, appare un esercizio tardivo, «Un accanimento terapeutico », come ha detto il presidente della commissione Banche Pier Ferdinando Casini durante una delle sedute, ed è, a questo punto, un esercizio vile. Nel governo Gentiloni la Boschi è stata presenza ingombrante e a volte imbarazzante. Ora il fattore B diventa l'elemento decisivo della campagna elettorale. Forse costretta a candidarsi lontano dalla Toscana, il territorio, da cui tutto è partito e tutto potrebbe finire.   Maria Elena Boschi alla fine è diventata un capro espiatorio. Ma Renzi e i suoi in realtà devono ancora fare i conti con il fallimento di una intera strategia politica. A cui non hanno mai trovato un'alternativa.---


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