mercoledì 26 luglio 2017

Maurizio Blondet - Saprà la Merkel gestire in modo razionale l’inevitabile Italexit?

“All’Italia conviene tornare alla lira”. Lo sostiene il tedesco Marc Friedrich, consulente finanziario di fama, in una intervista  a Sputnik Deutschland. Non solo l’Italia, affondata da un tasso record di debito e disoccupazione, ma “tutti i paesi del Sud Europa  starebbero meglio con una moneta sovrana invece che con l’euro. Questi ‘ paesi, con i limiti imposti dalla Banca Centrale, non vedranno mai  quell’inizio di  crescita  che permetterebbe loro di rimettersi”.
Marc Friedrich è co-autore di un saggio « Der groesste Raubzug der Geschichte », che è stato un best seller nel 2012. “Già allora dimostravamo  che l’euro non funziona.   Adesso vedo che per la prima volta, in Italia il concetto di Italexit non è più tabù”.
Cita “Alberto Bagnai dell’università di Pescara” . Ha ragione Bagnai.  “In marzo, sostenendo che l’euro collasserà comunque qualunque sia il capitale politico investito in esso,  questo professore  di economia ha sottolineato la necessità di una  uscita “controllata” dalla moneta unica, padroneggiando l’inevitabile:
“La causa più probabile –ha scritto Bagnai – sarà  il collasso del sistema bancario italiano, che trascinerà  con sé il sistema tedesco.  E’ nell’interesse di  ogni potere politico, certo  dei dirigenti europei declinanti, e probabilmente anche degli USA, gestire questo evento invece di attenderlo  passivamente”...

Parole di buon senso. Di fronte alle quali non c’è, probabilmente, il vero e proprio terrore delle  oligarchie dominanti davanti a quel che hanno fatto col loro malgoverno monetario.   Che le paralizza.  Pochi sanno che nell’eurozona, i prestiti andati a  male in pancia alle banche assommano alla cifra stratosferica di 1.092 miliardi di euro. L’Italia è la prima del disastro, con 276 miliardi di  prestiti  inesigibili; ma  la seconda è la Francia di Macron con 148 miliardi. Seguono la Spagna con 141, e la Grecia con 115. La Germania  ne cova 68 miliardi, l’Olanda 45,  il Portogallo 41.
Prima della Germania, ci seguirebbe nel precipizio la Francia – trascinandosi evidentemente giù anche l’Egemone  di Berlino.
Il rischio è passato inosservato, spiega  l’economista francese Philippe Herlin, perché si comparano questi 148  miliardi di prestiti andati a male con i bilanci delle grandi banche francesi,  il triplo del Pil nazionale  ( che ammonta a 2.450 miliardi di dollari).  Errore, perché in caso di crisi  le  cifre iscritte a bilancio sono poco o nulla mobilizzabili; “quel che conta è la liquidità, il cash, i fondi propri”. I fondi propri delle banche francesi sono 259,7 miliardi; quasi il 60 per cento (il 57) sarebbero dunque divorati dai prestiti marciti;  Herlin prevede  dunque l’uso di bad bank  riempite con il denaro dei contribuenti.  “Per ora  non c’è urgenza, al contrario dell’Italia, ma in caso di aggravamento della crisi finanziaria  (aumento dei fallimenti, un  qualunque shock finanziario)il governo sarà forzato a intervenire”.
Non riusciamo ad immaginare i sudori freddi che provoca a Berlino la prospettiva di contribuire coi risparmi  dei virtuosi  tedeschi ad una badbank  pan-europea  da  mille miliardi. Eppure, continua Friedrich,  “se l’Italia deve restare nella UE, allora  l’economia  più forte del blocco, la Germania, deve accollarsi il  fardello delle  sovvenzioni all’Italia e agli altri Stati membri del Sud”.  Ovviamente, anche lui ritiene che l’immane compra di titoli  di debito che sta facendo la BCE  al ritmo di 60 miliardi di  euro al mese, non fa che nascondere il problema e guadagnare tempo.  Per farlo, i vertici hanno  rotto tutte le regole,  a cominciare dalle loro.  Ma  collasserà, e possiamo solo sperare che i politici responsabilmente cercheranno allora di  minimizzare i guasti e di eliminare l’euro in modo controllato. In ogni caso ciò costerà caro”.
Si potrà  contare sulla Merkel  come la politica che responsabilmente smonterà la  moneta unica in modo controllato?  E’ assorbita non tanto dalle prossime elezioni, ma dalla  strategia che ha (espresso anche a nome nostro) dopo il disastroso G7 di Taormina, e lo scontro con Trump: “Noi europei dobbiamo veramente prendere in mano il nostro destino”.   Ma  come? Per quanto erratico  e imprevedibile, in mano a pulsioni emotive incontrollate e sotto  schiaffo del Deep State che vuole la sua eliminzione (e lo sta facendo), The Donald è chiaro e costante nella sua ostilità commerciale verso la Germania, che accusa  di slealtà e di manipolazione della moneta .

Angela alle prese con le nuove sanzioni USA…

Un mese fa, il Senato Usa ha varato schiacciante maggioranza un pacchetto di nuove e draconiane sanzioni contro la Russia,  “come punizione per le  interferenze nelle elezioni americane del 2016 e per le sue aggressioni militari in Ucraina e Siria”.  Non Mosca, ma Berlino e Vienna hanno protestato, queste nuove sanzioni “non concordate, rompono la linea unitaria dell’Occidente sull’Ucraina”,   ma in realtà perché queste nuove sanzioni sono un siluro alle  ditte europee (le  tedesche Wintershall e Uniper, l’austriaca Omv, la francese Engie e l’anglo-olandese Royal-Dutch Shell) che stanno costruendo con Gazprom il NordStream 2,  investendoci 4,7 miliardi; e ciò nel quadro di una grande strategia, per cui Washington vorrebbe sostituire Mosca come fornitore energetico all’Europa gabellandoci  il suo gas di petrolio liquefatto e i prodotti della sua fatturazione idraulica: la Polonia l’ha già fatto, per  l’americanismo da neofita unito all’anti-russismo tradizionale.
Sembrava che Trump non avesse intenzione di ratificare queste nuove sanzioni; ma poi   – messo all’angolo, come un vecchio pugile, dai pugni che il Deep State gli martella allo stomaco accusandolo di essere  un agente di Mosca – “ha cambiato idea” e  le ha fatte proprie.    “Siamo  nel mezzo di una guerra economica”,  conclude Folker Hellmeyer, analista capo della Bremer Bank, “sono sanzioni contro  la Russia, ma anche contro la UE e la Germania; agiscono contro la cooperazione  eurasiatica”.  Wolfgang Büchele,  presidente della Commisisone per l’economia tedesca dell’Est, è chiarissimo: “Queste  sanzioni sono tali da ostacolare una politica energetica europea insieme indipendente e sostenibile”.
Oltretutto Trump, o chi per lui (infatti si dice che Rex Tillerson, segretario di stato, stia per dimettersi), ha spedito a Kiev come ambasciatore Usa Kurt Volker, ex diplomatico presso la NATO; uomo di McCain. Che appena arrivato è andato a   parlare alle milizie nazistoidi promettendo armamento pesante americano per vincere la guerra del Donbass. “Questo non è un conflitto congelato, è una guerra calda ed è una crisi immediata di cui dobbiamo occuparci subito”.
Kurt Volker coi nazi ucraini: ha promesso loro  armi pesanti.
Aver fatto del Donbass un “conflitto congelato” è uno dei pochi successi esteri di Angela Merkel. Il discorso di Volker è dunque contro la Cancelliera e  promette una riapertura bellica della piaga ucraina in funzione antitedesca.

“…esorta la UE a imporre sanzioni  più dure alla Russia”

Orbene, cosa fa la Merkel? Secondo Reuters,”Esorta l’Unione Europea a  varare più  dure sanzioni contro la Russia”,  punitive, per via di certe grandi turbine Siemens  per la produzione di elettricità che  sono comparse in Crimea, dove non dovevano essere, perché sulla Crimea ci sono le  sanzioni; e la Siemens (che con la Russia fa 1,2 miliardi di affari l’anno) dice di essere stata ingannata dai russi,  che l’avevano assicurata che le macchine sarebbero andate in un’altra regione, non  sanzionata.
Ciascuno può constatare la demente inspiegabilità di tutto ciò. “Forse”,  ipotizza Deutsche  Wirtschaft Nachrichten, “il governo federale vuol segnalare agli americani che  sta guidando la UE alla linea dura contro la Russia. E’ dubbio che ciò porti al ritiro delle [nuove] sanzioni americane”
Sembra che il desiderio bottegaio di tenere il piede in tante scarpe,   non giovi alla lucidità e alla statura politica della Cancelliera in questo cruciale passo storico, dove  la Mutti  dovrebbe guidarci tutti quanti verso l’autonomia dagli Usa.  Anche perché adesso si è scoperto  che le grandi case tedesche che vendono milioni di auto negli Usa,  Audi, Bmw, Daimler, Porsche e Volkswagen,   invece di farsi concorrenza, da quasi 30 anni,  dal 1990 hanno costituito un cartello segreto per concordare i prezzi, dividersi i costi di ricerca e sviluppo (ogni società si è concentrata su   aspetti diversi  senza   doppioni), promuovere la tecnologia Diesel. Dopo il Dieselgate, la Volkswagen che falsificava i dati delle missioni inquinanti, e che  è costato alla Casa 4,3 miliardi di multe americane,   qui ci dobbiamo attendere lo scatenamento  della  virtuosa ira statunitense per questo trucco ignobile  che falsa la sacra concorrenza: i miliardi  di multe  possono essere 50, e il mercato americano può diventare   molto  chiuso  per Das Auto. 
Guai grossi per l’auto tedesca.
Le sanzioni “producono una valanga  di  protezionismo, che seppellisce il libero scambio”,   piagnucola Büchele.
Già, ecco  il punto.  Siamo entrati in un’era nuova, la fine del libero scambio di cui l’export  tedesco ha tanto prosperato, anche  con i metodi truffaldini che cominciamo a scoprire; e la  Merkel   cerca disperatamente di prolungarla  ancora un po’  (fino alle elezioni…?) tenendosi buona la nuova America e  inimicandosi Mosca ancor  di più –  perché non ha un piano B, soprattutto è priva delle  doti di statista che servono per far cambiare rotta al gigante economico e nano politico tedesco  in piena tempesta.
Una persona  così, investita da tali rivolgimenti epocali,  e con una Germania prossimamente in recessione per via del “protezionismo” americano,   saprà gestire in modo controllato e razionale  la smobilitazione dell’euro?  Probabilmente   sta pensando  ad una soluzione  minima: quando verrà il collasso, salverà  la Francia  e  le sue banche, sia perché costa meno, sia perché ne ha  bisogno come vassallo e satellite, e sbatterà  nella tormenta  l’Italia.

Gentiloni: schiaffi da Macron, schiaffi dalle ONG

E qui veniamo alla qualità del  “nostro” (loro) governo.   Come uno zombi coatto, Gentiloni  continua ad appellarsi a una “Unione Europea” , a una solidarietà europea, che palesemente non esiste più. E’ stato sorpreso ed offeso da Macron che ha riuniuto i due contendenti libici ad un tavolo a  Parigi, “tagliandoci fuori”? Ma  persino Di  Maio  aveva proposto a Gentiloni ed Alfano di farlo, mesi fa,   ma Gentiloni no: lui ancora non ha preso atto che a vincere in Usa non è stata la sua Hillary,   è rimasto senza ordini, quindi lui non parla con  Haftar (che ha con sé Mosca e il Cairo, e adesso anche Parigi) ma con Sarraj, “riconosciuto dalla comunità internazionale”. Una  comunità internazionale perlomeno fantomatica, ormai.  Impagabile, il Mattarella dal Quirinale ha  rigettato con orgoglio i suggerimenti di Orban e  implorato la “europeizzazione dell’accoglienza e dei rimpatri e la predisposizione dei canali di  immigrazione”,   perché “Solo un’Europa coesa potrà concorrere con efficacia a far valere i propri valori e a determinare gli equilibri mondiali”.----

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