domenica 18 giugno 2017

Maurizio Blondet - Merkel: No a nuove sanzioni antirusse. Danneggiano 'noi'

Il ministro degli esteri della Germania, Gabriel, assieme al cancelliere austriaco Kern
18 giugno 2017maurizioblondet
Mai visto prima: Berlino e Vienna han criticato le nuove sanzioni USA alla Russia. I due ministri degli esteri, ufficialmente, hanno minacciato addirittura contro-sanzioni a danno degli USA.
Mai visto prima: Berlino e Vienna hanno  criticato le nuove sanzioni americane alla Russia. Insieme, i due ministri  degli  esteri, stentoreamente, ufficialmente,  hanno minacciato addirittura contro-sanzioni  a danno degli Stati Uniti.

Il motivo è presto detto: che le nuove sanzioni – emanate dal Senato  Usa –  colpiscono direttamente gli interessi germanici. Precisamente, impongono multe, ammende e sanzioni alle aziende  che partecipano alla costruzione, o al finanziamento,  del Nord Stream 2, il gasdotto che porta il gas russo alla Germania e  passa in fondo al Baltico, lasciando fuori Polonia e Ucraina, i nuovi alleati dell’America.

Le ditte  minacciate di ritorsione sono la tedesca BASF ed EON, la austriaca OMV, inoltre la Shell, la francese Engie. Niente sanzioni!, hanno detto i due ministri degli esteri di lingua tedesca, uniti   in un nuovo Anschluss dei bottegai....

Beninteso, invece l’Italia deve continuare ad  obbedire alle sanzioni contro la Russia decretate da Berlino (scusate, dalla UE)   per favorire i golpisti di Kiev. Infatti, nello steso comunicato in cui si oppongono fieramente alle sanzioni americane a Mosca, i due  ministri Sigmar Gabriel e Christian Kern  ribadiscono che “è importante per l’Europa e  gli Stati Uniti formare un fronte unito sulla questione dell’Ucraina”, dove secondo la Ue sono i russi ad armare i separatisti del Donbass,  e Putin va punito perché s’è ripreso la Crimea.

Quindi noi italiani non possiamo più vendere il gorgonzola e le cravatte di Armani ai moscoviti, ma i tedeschi possono costruire coi russi un gasdotto da miliardi di dollari, che farà della Germania un hub delle forniture in tutta Europa.

Fantastica la dichiarazione di Angela Merkel, dettata attraverso il suo portavoce: “Gli interessi economici e  la questione delle sanzioni non vanno mescolati”:  frase di cui non sappiamo se apprezzare di più la malafede o la demenzialità.

Ovviamente,  la Commissione cosiddetta  Europea s’è subito allineata al nuovo e inedito anti-americanismo merkeliano,  mantenendo beninteso l’anti-putinismo basale: “E’ importante garantire l’unità dei partner nelle sanzioni, dunque che nuove misure nei partner internazionali siano coordinate per  assicurare il loro impatto a livello internazionale”.  Non vorremmo che al governo italiano, dopo aver applicato le sanzioni alla Russia  al costo di 9 miliardi l’anno  per la nostra economia, venga richiesto di infliggere sanzioni  anche all’America, con altri miliardi di danni ai nostri esportatori.  Perché siamo sicuri che Gentiloni, come sempre, obbedirebbe.

 E’ il destino manifesto, Angela

Nell’immagine in apertura: Sigmar Gabriel ha voluto  a fianco il cancelliere austriaco Kern:  “Non possiamo accettare la minaccia di sanzioni extra-territoriali illegali contro aziende europee che partecipano all’approvvigionamento energetico europeo”.

 Quante interessanti considerazioni implica quest’alzata tedesca.  Decenni di sforzi per negare il destino manifesto che vuole l’integrazione fra Russia ed Europa,  di impedirne e ostacolarne i progressi inventandosi casus belli, provocazioni e ostilità idiote   fino all’orlo della guerra guerreggiata; ed ecco un grido  del cuore che sale dalla strozza germanica: “No alle sanzioni che ci colpiscono economicamente, noi!”.  Il gruppo Merkel è giunto ad accusare il Senato Usa   di voler sostituire la Russia come nostro fornitore energetico, vendendoci il gas naturale liquefatto che l’America produce e che fatica a trovare acquirenti.  Insomma han difeso Mosca contro il gas liquido di Washington. Se  non è destino manifesto questo…solo che è dubbio  come ciò si coniughi col mantenimento delle sanzioni sul Gorgonzola.  Ma non cercate la logica a Berlino. Berlino è l’imperio. Ciò che è bene per l’Anschluss è bene per l’Italia.

Demenzialità, paranoia  e schizofrenia , beninteso, sono largamente presenti anche nel Senato americano e nelle sue  motivazioni per giustificare sanzioni più dure, che sono praticamente un atto di guerra.  Nuovi colpi all’industria energetica russa, nuove  punizioni contro personalità russe che il Senato dichiara “corrotte”, o “implicate nelle gravi violazioni dei diritti dell’uomo” (senti chi parla) ,   o perché forniscono armi ad Assad; poi, in  un crescendo wagneriano, “nuove sanzioni in settori-chiave dell’economia russa, compresi il settore minerario, i trasporti marittimi e le ferrovie”; inoltre dare “assistenza per rinforzare le istituzioni democratiche e  contro la disinformazione nei paesi dell’Europa centrale e orientale  che sono vulnerabili all’aggressione e all’ingerenza russa”.

In pieno delirio  di esaltazione, il senatore John McCain ha vaneggiato: “Da troppo tempo il messaggio che è stato inviato a Vladimir Putin è stato che la Russia poteva invadere i suoi vicini, minacciare gli alleati dell’America, intensificare i suoi cyber-attacchi e ingerirsi nelle elezioni estere senza troppe  ripercussioni.  Finché la Russia non pagherà il prezzo delle sue azioni, le sue attività di destabilizzazione continueranno”.

 

Il voto al Senato: un atto  della  guerra civile americana

Questo delirio, questo allucinato rovesciamento della realtà, è stato approvato a maggioranza schiacciante: da 97 senatori su 100. Due  soli  hanno  avuto il coraggio di  votare contro,  uno si è astenuto. Uno dei tre è Rand Paul, il figlio di Ron Paul. Il suo consigliere, Daniel McAdams, direttore del Ron Paul Institute for Peace, ha spiegato il vero motivo della furente e allucinata tornata di sanzioni anti-russe del Senato: “Si tratta di impedire con ogni mezzo al presidente Trump di sviluppare la sua politica estera nel senso di un miglioramento  della relazioni americane con la Russia”: E fa notare che nell’emendamento del Senato (che deve ancora essere approvato dalla Camera) hanno infilato una norma che  rende necessario il placet del Congresso nel caso di sospensione o alleggerimento, da parte del presidente,  delle sanzioni in vigore.

Dunque quello del Senato è, molto più che un atto di  ostilità estera,  un atto di guerra interna, nella vera e propria guerra civile del  scatenata contro Trump,  dove si è già cominciato ad aprire il fuoco su avversari politici (come sa lo sciagurato senatore Scalise, sparato da un fanatico sostenitore di Bernie Sanders).  Serve a sostenere e rafforzare la narrativa delirante – ma ormai solidissima  negli oppositori, a cominciare dai media – che Trump e i suoi cari sono degli agenti di Mosca, che fanno  gli  interessi di Putin invece che della loro patria, che se ha vinto le elezioni è solo perché Putin lo ha aiutata con i suoi hacker e  le sue intrusioni nelle mai della Clinton –  una certezza che non  ha bisogno di prove ma esige una procedura accelerata di impeachment.

Trump, molto più di Putin (e della Merkel),   ha ragione di allarmarsi:  hanno votato  contro la Russia, ossia contro di lui, 97 senatori su 100, ossia anche tutti i repubblicani, in teoria il “suo” partito. Una politica estera ispirata da caos e odi e lotte  interne, per motivi interni, da parte delle superpotenza. Allegria.

E’ appena il caso di ricordare che il Senato non  ha dimenticato di coinvolgere nella sua farneticazione anche l’Iran, esigendone le più dure ritorsioni  per il “suo sostegno ad  atti di terrorismo internazionale”.

Intanto a Belgrado, Pechino fa la ferrovia: Budapest-Atene. AV.

Ci interessa di più ricordare qualcosa che succede all’Est europeo, dove siamo tutti tanto impegnati, noi sudditi, a contrastare l’avanzata di Mosca.  Ce lo ha detto la seguente notiziola:  Bruxelles ha  “chiesto spiegazioni” all’Ungheria sulla costruzione della linea ferroviaria Budapest-Belgrado. Linea ad alta velocità, che è parte di un progetto di creazione una tratta ad alta velocità  di mille chilometri, che unirà  Budapest ad Atene passando per Belgrado e la Macedonia, ed è finanziato da – eh sì – da Pechino. Per 2,89 miliardi di dollari.
Bruxelles  vuole appunto sapere da Orban come mai ha violato le regole eurocratiche, che  obbligano fare concorsi pubblici (intra-eropei) per aprire così grandi cantieri.  Insomma,  prima viene la Siemens. Ma i cinesi hanno proposto tutto loro, pagano loro, e già hanno costruito il ponte sul Danubio a Belgrado, 170 milioni di euro finanziati all’85% dalle banca d’esport ed import di Cina.  I belgradesi l’hanno chiamato ponte Pupin. Pechino, lo chiama “ponte dell’amicizia cino-serba”.
Treno cinese ad alta velocità. Pechino sta costruendo la tratta Budapest-Belgrado, parte del grande progetto Budapest-Atene.
Gli americani  starebbero pensando di ostacolare questo progetto cinese per mezzo di una destabilizzazione “islamica” dei Balcani, che stanno preparando  nel Kossovo  e in Albania, dove convivono la più grande base americana (Camp Bondsteeel), i terroristi-spacciatori kossovari di Hakim Thaci già usati contro Macedonia e Montenegro, e – recenti arrivi – elementi del  Mujaheddin el-Khalk,  gli anti-ayatollah iraniani, che gli americani hanno recuperato e stanno riaddestrando a Camp Bondsteel.   Recentemente, il noto John Bolton (j neocon) è stato a Tirana per curare questo tipo di affari. A  Tirana  si sono rifugiati, sotto protezione Usa  ma (si dice) anche  dei servizi  tedeschi, anche  i dirigenti dell’organizzazione di Fetullah Gulen; invano Erdogan ha protestato; per il deep state è una riserva  di sovversione  da usare contro Ankara,al bisogno.



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